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Ambiente, clima & riscaldamento globale

Ultimo Aggiornamento: 28/04/2010 20:26
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06/05/2009 19:26

«Rainforest Project»
Per la prima volta, un membro della famiglia reale inglese è apparso in un video diffuso su YouTube e MySpace. Perdipiù accanto ad un pupazzo animato a forma di rana.
Il video è stato lanciato lunedì per promuovere il «Rainforest Project», l'associazione fondata dal principe Carlo -da anni impegnato in difesa dell'ambiente - per la salvaguardia delle foreste tropicali. Nella clip di 90 secondi, varie celebrità si uniscono a Carlo per sensibilizzare il pubblico alla causa ambientale, tra gli altri il «James Bond» Daniel Craig, Harrison Ford, Pele, il Dalai Lama e i principi William e Harry.

PRINCIPI E RANE - Tutti appaiono accanto alla buffa rana animata - scelta come animale simbolo delle foreste tropicali, nonché per la nota associazione principi-rane- che riesce a rubare la scena ad attori e reali. Il Dalai Lama tiene la rana fra le mani e si presenta come «un semplice monaco buddista». Harrison Ford ha il pupazzo sulla spalla e si definisce un «ambientalista e amico delle rane», mentre i principi William e Harry la scrutano con espressione perplessa dichiarando: «cerchiamo di preservare la foresta pluviale. Per tutti noi». Alla fine del video, il principe Carlo -seduto su un divano accanto alla rana- lancia il suo appello in difesa delle foreste, vitali per combattere il riscaldamento globale: «dobbiamo agire adesso», dice, «le generazioni future dipendono da noi».

CAMPAGNA SUL WEB - La rana è stata creata dalla «Framestore», la casa di produzione premio Oscar per gli effetti animati del film «La Bussola d'Oro», mentre il sito web della campagna -www.rainforestsosorg- è stato realizzato dalla Blue State Digital, la societa di consulenza artefice del successo riscosso dalla campagna elettorale di Obama su Internet. « Il nostro scopo, con il vostro aiuto, è quello di creare una comunità online per chiedere un'azione urgente in difesa delle foreste tropicali, senza la quale perderemo sicuramente la battaglia contro la catastrofe del cambiamento climatico», ha affermato il principe Carlo spiegando la decisione di utilizzare Internet a sostegno della causa ambientale.

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12/05/2009 20:50

La prima autostrada «a idrogeno» in Europa
Inaugurata in Norvegia. In 580 km oltre 12 distributori a idrogeno

NORVEGIA - Si è tenuta lunedì a Oslo la cerimonia di apertura dell'autostrada nordica dedicata alle auto a fuel cell. Presenti numerose case automobilistiche impegnate nella produzione di auto a idrogeno. Si chiama HyNor ed è un'autostrada percorribile da veicoli a idrogeno. Inaugurata ieri a Økern, in Norvegia, l'arteria stradale fa parte di un circuito scandinavo di autostrade eco-friendly che mira ad estendersi sempre di più e che presto potrebbe coinvolgere anche la Germania.

IL PROGETTO - HyNor è lunga 580 chilometri e mette in collegamento Oslo e Stavanger. La neonata infrastruttura per il trasporto alimentato a idrogeno è servita da diverse stazioni di rifornimento di StatoilHydro (impegnata dal 2003 nella realizzazione del progetto assieme agli oltre 50 partner di HyNor), perchè si sa che uno dei principali problemi dei veicoli di questo tipo è l'autonomia limitata. Come spiegato da Anne Marit Hansen, presidente del Consiglio di amministrazione di HyNor, l'obiettivo dei promotori dell'iniziativa è quello di incentivare l'utilizzo dell'idrogeno al posto del carburante tradizionale, ed è per questo che anche numerose case automobilistiche già attive nel settore sono state coinvolte.

L'INAUGURAZIONE - L'apertura è stata ufficializzata dal ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni del Paese, Liv Signe Navarsete, che ha inaugurato la nuova stazione di rifornimento a idrogeno della città di Lier, mentre il sindaco di Oslo, Erling Lae, ha fatto da padrino a quella di Økern. I primi a percorrere l'autostrada sono i partecipanti alle tre giornate (11-13 maggio) dell' «Evs Viking Rally» , un rally internazionale dedicato alle auto verdi. Alla gara partecipa anche il Principe Haakon di Norvegia, assieme al campione norvegese di rally Henning Solberg e ai conducenti delle auto a idrogeno, elettriche e ibride che correranno da Oslo a Stavanger.

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13/05/2009 21:15

Coralli scomparsi entro la fine del secolo
A rischio la vita di 100 milioni di persone


Entro la fine del secolo le barriere coralline potrebbero sparire da quell'angolo del pianeta Terra dove sono presenti in maggiore densità, il cosiddetto «Triangolo dei coralli» che si estende tra le coste e i mari di sei Paesi indonesiani: Filippine, Malesia, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone e Timor Est. Queste terre, pur rappresentando solo l1% della superficie terrestre, comprende il 30% delle barriere coralline mondiali. Non solo: si trovano qui il 76% delle specie di coralli censite in tutto il mondo e oltre il 35% delle spiecie di pesci presenti nelle barriere coralline, compreso il tonno. A lanciare l'allarme sulla sopravvivenza di questo ecosistema - e su una popolazione di circa 100 milioni di persone che con la scomparsa dei coralli di fatto si troverebbe priva di ogni forma di sostentamento - è il Wwf, che in occasione della Conferenza mondiale degli oceani, che si è aperta martedì a Manado, in Indoniesia, ha presentato uno studio realizzato da un team di esperti - biologi, economisti, studiosi di ecosistemi - che si sono avvalsi di oltre 300 analisi scientifiche.

SCENARIO DA CATASTROFE - La conclusione a cui giunge la ricerca è tutt'altro che tranquillizzante: i cambiamenti climatici, l'aumento della temperatura degli oceani e del livello dell'acqua e della sua acidità, i sempre più frequenti eventi calamitosi come siccità e burrasche, avranno effetti devastanti. E per questo la comunità internazionale deve subito correre ai ripari, intervenendo soprattutto sul riscaldamento del pianeta, sul fronte della lotta all'inquinamento e sul contenimento degli eccessi di pesca. «Nello scenario attuale - spiega il prof. Ove Hoegh-Guldberg, dell'università di Queensland, a capo del team di esperti - la gente vedrà distruggere i tesori biologici del Triangolo dei Coralli. La povertà aumenterà, sparirà la sicurezza del cibo, l'economia soffrirà e i popoli della costa dovranno emigrare sempre più verso aree urbane». Con tutte le conseguenze che gli esodi massicci finiscono con il comportare.

RIDUZIONE DEI GAS SERRA - La ricetta individuata non è nuova: ridurre le emissioni di gas serra con investimenti internazionali che rafforzino l'ambiente naturale della regione. Va detto che le conseguenze catastrofiche annunciate si riferiscono al peggiore dei possibili scenari presi in considerazione dallo studio, ovvero quello di un continuo andamento negativo del quadro climatico e di uno scarso impegno nella protezione delle aree costiere. «Ma anche nello scenario positivo bisognerà affrontare la perdita di una parte delle barriere coralline, l'aumento del livello del mare e delle bufere, la siccità e la ridotta disponibilità di cibo ricavato dal pescato costiero - fa notare il Wwf -. Ma con una differenza sostanziale che consiste nel fatto che le comunità rimarranno ragionevolmente intatte e saranno in grado di affrontare le difficoltà. Una gestione efficace delle risorse costiere, che includa reti regionali di aree marine protete, la protezione delle mangrovie e dei letti dei fiumi e una buona gestione del pescato si tradurranno in un declino più lento di queste risorse».

LA CONFERENZA DI COPENHAGEN - La scadenza individuata per elaborare le strategie di difesa è quella del prossimo dicembre, quando a Copenhagen avrà luogo la Conferenza delle parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite. Sarà lì che bisognerà trovare un intesa sulla riduzione delle emissioni di gas serra. Solo in questo modo, dice l'associazione, sarà possibile proteggere le comunità più vulnerabili anche dalla perdita di cibo e di sostentamento.

Le api lavorano di più e sono stressate
Per questo stanno scomparendo


Il problema non è che non ci sono più le mezze stagioni. Il problema è che le mezze stagioni non sono più mezze. E, anzi, a causa dei cambiamenti climatici provocati dal riscaldamento globale sono andate via via estendendosi, rosicchiando di decennio in decennio sempre più giorni alla stagione fredda. Rimodulando il vecchio adagio, si potrebbe allora dire che non ci sono più gli inverni di una volta. E ad accorgersene, sulla loro pelle, sono state le api. Le quali, scombussolate da un calendario che non è più lo stesso di un tempo, si ritrovano ora in una condizione di eccessivo stress che sta portando alla decimazione delle colonie.

LO STUDIO - La conferma arriva da una ricerca realizzata dal Centro di ricerche in bioclimatologia medica, biotecnologie e medicine naturali dell'Università degli studi di Milano con la collaborazione di Agrofarma. Lo staff guidato dal prof. Umberto Solimene ha studiato l'evoluzione del clima in un intervallo temporale che va dalla fine del 19esimo secolo ai giorni nostri, soffermandosi sulle osservazioni meteorologiche condotte a partire dal 1880 e poi nel dettaglio sulle osservazioni satellitari disponibili dal 1978 ad oggi. Il risultato è una conferma di quanto già da tempo viene denunciato: il riscaldamento globale c'è, l'aumento in 130 anni è stato di circa un grado e i dodici anni compresi tra il 1995 e il 2006 sono stati in assoluto i più caldi della storia. Ma non solo: «E' evidente un restringimento della stagione invernale che ha innescato, per riflesso, un probabile allungarsi della finestra di attività delle api, ipotizzabile in 20-30 giorni di lavoro in più all'anno - sottolinea il prof Solimene -. Questo prefigura uno stress aggiuntivo a carico delle api che comprometterebbe la loro salute. Lo stesso sincronismo tra la fase della fioritura e la ripresa dell'attività di volo delle api dopo l'inverno potrebbe avere subito importanti sfasature».

FATTORI DI RISCHIO - Nelle api lo stress funziona esattamente come nell'uomo: ad una fase di allarme segue quella di adattamento che consente di tirare avanti e che dura fino al momento in cui non si registra un crollo. Crollo che evidentemente ora c'è stato e che si manifesta con il drastico assottigliamento della popolazione apistica su scala mondiale, con un'incidenza maggiore negli Stati Uniti, in Europa e in Australia. Per il team di studiosi che ha condotto la ricerca, le condizioni climatiche sono responsabili per almeno il 50% della decimazione delle colonie di api. Poi entrano in gioco altre concause, come l'inquinamento e l'azione devastante della verroa, un acaro che si infiltra negli alveari e che si rivela sempre più aggressivo, in quanto gli insetti indeboliti dallo stress non riescono ad opporre resistenza.

ALVEARI IN AFFITTO - Il problema delle api non è una questione privata, non riguarda in realtà solamente le api. Questi insetti sono un calzante paradigma di quanto gli effetti delle azioni dell'uomo sull'ambiente possano creare scompensi su vasta scala. La diminuzione delle colonie ha ripercussioni dirette sull'attività legata all'apicoltura. Ma gli effetti si fanno sentire, e pesantemente, anche in forma indiretta in diversi altri settori. Nelle settimane scorse, ad esempio, la rivista americana Time nel suo «Annual special issue» è tornata a puntare i riflettori sulle difficoltà che incontrano i coltivatori della California nella gestione dei loro frutteti: la produzione di mandorle, di cui lo Stato governato da Arnold Schwarzenegger è il principale esportatore al mondo, ha subito un drastico calo per la mancanza di un numero sufficiente di insetti per l'impollinazione, con il risultato che gli agricoltori sono stati costretti ad affittare alveari facendoli arrivare appositamente da altre zone degli States. Che negli Usa il problema sia particolarmente sentito, lo dimostra anche il fatto che della questione sia stato investito anche Gil Grissom, il protagonista di Csi, che nell'ultima serie del fortunato serial poliziesco della Cbs è chiamato, tra i diversi casi, ad occuparsi anche di una misteriosa epidemia che sta colpendo le api in diverse parti del mondo. Quando la realtà entra nella fiction, insomma.

LA PAROLA AI GOVERNI - La moria delle api, che lo scorso anno aveva registrato picchi elevatissimi anche in Italia, è dunque un problema di cui si è iniziato a prendere coscienza e a cui in qualche modo bisognerà porre rimedio. «I nostri dati attribuiscono ai cambiamenti climatici una grossa fetta di responsabilità nella scomparsa delle api - dice ancora il prof. Solimene -. La ricerca è solo un punto di partenza, una fotografia dello stato dell'arte. Agire sui fattori che influenzano il clima è la vera sfida. Il mondo scientifico può solo lanciare l'allarme. Ora tocca ai governi fare la loro parte».

Sempre meno farfalle,
è allarme in Uk


Gli inglesi ne fanno una questione di identità: le farfalle nei loro campi fioriti ci sono sempre state e non vedere più alcune delle loro specie più amate svolazzare copiose tra un fiore e l'altro fa male come una ferita che sanguina. L'estate del 2009 sarà un banco di prova per capire se sarà confermato il trend di rapido declino, registrato dagli studiosi soprattutto negli ultimi due anni, o se vi sarà una sperata quanto improbabile inversione di tendenza. Il 2008, secondo quanto si legge in nell'ultimo Uk Butterfly Monitoring Scheme è stato in assoluto l'anno l'anno più negativo della storia degli ultimi trent'anni. E almeno 12 specie hanno registrato drastici cali di popolazione al punto da arrivare vicine al rischio di estinzione.

NON SOLO ESTETICA - Non è però solo una questione estetica, una testimonianza di affetto per una componente fondamentale del panorama rurale britannico. «Le farfalle sono un importante indicatore, capace di metterci in allerta sui disequilibri dell'ambiente - avverte dal proprio sito Internet la Butterfly Conservation, un'associazione fondata nel 1968 da un gruppo di naturalisti proprio come risposta ai primi allarmi sulla riduzione del numero di insetti -. Se il numero di farfalle è in calo, inevitabilmente anche la fauna e l'ecosistema risultano in declino». Dal 1998 il presidente della Butterfly Conservation è sir David Attenborough, per anni volto televisivo della Bbc, noto anche in Italia per una serie di documentari sulla natura rilanciati da diverse trasmissioni a carattere scientifico e naturalistico, come ad esempio «Quark» di Piero Angela.

I MEDIA IN CAMPO - Per capire quanto la cosa sia fondamentale per i britannici, basta pensare al fatto che lunedì il Guardian ha dedicato ben quattro pagine all'argomento, oltre alla copertina nel proprio inserto G2 che, parafrasanto la canzone di Pete Seeger poi diventata uno dei simboli della protesta pacifista degli anni Sessanta si chiede: «Where have all our butterflies gone?», dove sono finite le nostre farfalle? L'Indipendent, altro autorevole quotidiano, ha invece deciso di lanciare la Great British Butterfly Hunt, la grande caccia alle farfalle britanniche. Si tratta ovviamente di una caccia solo documentaria, con i lettori sguinzagliati in ogni contea del regno unito con l'obiettivo di individuare e classificare tutte le 58 specie di farfalle - 56 indigene e due importate nel corso dei secoli - che vivono nell'isola e che sempre più sono a rischio di scomparsa. L'obiettivo è puntare i riflettori su un patrimonio naturale, ma anche sensibilizzare sempre più l'opinione pubblica verso le tematiche della conservazione dell'ambiente.

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13/05/2009 23:38

Le lezioni del "mitico" Tricarico danno i loro frutti....

value="http://www.youtube.com/v/GsxIjH_hCxM&hl=it&fs=1">

Trichiiiii promuovici.... [SM=g1336782]
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15/05/2009 01:47

...visto che e' andata bene Nufulina???? "Vita tranquilla" ci ha portato bene!! [SM=g1336782]



cmq...tornando alla discussione sul nostro amato e maltrattato ambiente...


Riscaldamento globale, l'adattabilità
di uomo e natura si è quasi esaurita


LONDRA – La colonnina del termometro in dieci delle ultime dodici estati è salita ben al di sopra della media registrata nell’arco di cento anni. Quali sono le conseguenze del surriscaldamento del globo? E in particolare quali quelle sulla salute? Un gruppo di scienziati dell’University College di Londra, in collaborazione con la prestigiosa rivista The Lancet, ha effettuato uno studio arrivando alla conclusione che le capacità di adattamento dell’uomo e della natura ai cambiamenti climatici si stanno esaurendo. Ciò significa che, nonostante i progressi della medicina, le barriere contro infezioni, epidemie e malattie appaiono insufficienti.

LA CATENA - L’innalzamento della temperatura determinato dalle emissioni di CO2 ha ricadute allarmanti sull’ecosistema e sulla vita dell’uomo. Nel 2003, ad esempio, nel Nord Europa 30 mila persone sono morte a causa dell’ondata di caldo. Una dato che sembra eccessivamente allarmistico e al limite del catastrofismo ma che i ricercatori di Londra spiegano in modo semplice: la calura mette a rischio il sistema cardiovascolare e respiratorio e i dati confermano che, in modo particolare nelle aree meno abituate all’eccessiva irradiazione, le difese dell’organismo non reggono. Così i decessi, proprio nei periodi di maggiore e più pesante insolazione, aumentano. Il surricaldamento determina una catena di effetti a vari livello: stress, collassi, incidenti.

INONDAZIONI E CIBO – L’instabilità è la causa di inondazioni e uragani o all’opposto di siccità. Ne soffrono l’agricoltura e i raccolti. Il 17 per cento della colture di soia, di riso e di cereali va in fumo per ogni grado in più delle temperature. Già oggi, stimano gli studiosi, dieci milioni di bambini muoiono ogni anno a causa della pessima o insufficiente nutrizione. Le riserve d’acqua potabile si esauriscono (250 milioni di africani sono a rischio entro il 2020, ma il prosciugamento riguarda anche le grandi città del Centro America e persino dell’Europa, a cominciare dalla Catalogna). I numeri sono perciò destinati a modificarsi in maniera drammatica: la metà della popolazione mondiale, entro la fine del secolo, potrebbe essere costretta a fronteggiare «severe carenze di cibo» e gravi problemi di salute. Non solo per il collasso idrico-alimentare nelle zone già povere, ma anche per la progressiva diffusione di virus e di malattie (malaria, salmonella, infezioni intestinali). È un processo naturale, quello delle migrazioni, che, anche a causa dei cambiamenti climatici, si intensificherà. E se non saranno adottate misure sanitarie efficaci provocherà nuove epidemie.

LE SPECIE – Il caldo sta alterando l’ecosistema. Negli ultimi 30 anni il 25 per cento dei vertebrati che vivono sulla terra è stato cancellato. E così pure il 28 per cento delle specie marine. L’estinzione è un pericolo per numerosi animali. E’ un’altra minaccia alla catena alimentare.

NO AGLI ALLARMISMI – Il quadro della situazione è pessimo, ma lo scandalismo e il catastrofismo non servono. È vero che l’uomo sta esaurendo le sue capacità di adattamento alle nuove condizioni, ma non serve cadere nella disperazione. Gli scienziati dell’University College di Londra ritengono che vi siano i margini «per riparare» il disastro ambientale. E la prima sfida da vincere è quella della consapevolezza: dai governi ai semplici cittadini, nei Paesi sviluppati e nei Paesi poveri, tutti devono essere responsabilmente coinvolti in una campagna per la limitazione delle emissioni di CO2 e dunque per la difesa della salute. «È la sfida del ventunesimo secolo».

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17/05/2009 01:28

Buste ecologiche, le Coop giocano d'anticipo
Dal 29 maggio niente sacchetti di plastica


ROMA - Il governo rimanda l'impegno a passare alle buste ecocompatibili e la grande distribuzione lo scavalca muovendosi autonomamente, in sintonia con gli impegni europei e i paesi industrializzati che hanno deciso di mettere al bando i vecchi shopper in plastica. Dal 29 maggio i sacchetti di plastica saranno vietati in tutti i 98 punti vendita di Unicoop Firenze. Al loro posto arriveranno i sacchetti biodegradabili che possono essere utilizzati per la raccolta differenziata dei rifiuti organici e diventare compost, un terriccio utile in agricoltura e giardinaggio.

Le Coop partono sostituendo 60 milioni di shopper a Firenze e puntano a estendere rapidamente la rivoluzione dei contenitori ecologici in tutta Italia. Già nell'ultimo anno e mezzo sono state distribuite gratuitamente 660 mila sporte adatte a fare la spesa e durare nel tempo. Un altro mezzo milione di borse, con il marchio l'Ambiente in mente è stato acquistato da soci e clienti che si sono attrezzati per fare a meno dei sacchetti usa e getta. Ora si passa all'abolizione completa degli shopper che imbrattano fiumi e campagne sostituendoli con borse in cotone o con i sacchetti della Mater-Bi, la plastica biodegradabile che viene dal mais.

La scelta Mater-Bi premia un brevetto italiano e un'azienda italiana nata da un centro di ricerca Montedison. Quest'azienda è la Novamont, che ha creato una bioraffineria a Terni dopo aver raggiunto un accordo con la Coldiretti per ottenere la materia prima agricola nelle vicinanze dell'impianto in modo da abbattere costi economici e ambientali del trasporto. Nel 2008, in piena crisi, la bioraffineria di Terni - che sorge su un terreno bonificato sostituendo produzioni ad alto impatto ambientale come quella del cloruro di vinile con prodotti a basso impatto - ha avuto una crescita dell'occupazione del 30 per cento rispetto all'anno precedente.

"E uno dei casi in cui l'Italia è partita come capofila e rischia di rimanere ferma al palo pur avendo brevetti e tecnologie da mettere in campo", commenta Ermete Realacci, responsabile ambiente del Pd. "Le iniziative dal basso, come quella delle coop, sono benemerite. Ma è grave che il governo abbia fatto slittare il bando nazionale dei vecchi shopper inquinanti previsto dalla Finanziaria 2007. Inoltre rischia di saltare anche l'impegno a far uscire dalla produzione gli elettrodomestici poco efficienti e le lampadine a incandescenza. Anche in questo caso parliamo di settori in cui le imprese italiane si sono impegnate da tempo e hanno le carte in regola per guadagnare fette di mercato globale. La politica dei rinvii le penalizza".

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17/05/2009 02:08

Quei gadget mangia energia
Un appetito insaziabile verso i gadget intelligenti: così Paul Waide, analista dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea), definisce la rincorsa famelica verso telefonini, smartphone e apparecchi elettronici, veri e propri mangia-energia che stanno rischiando di vanificare importanti strategie di riduzione su altri fronti. L’allarme lanciato dall’Iea è molto chiaro: entro il 2030 il consumo domestico di elettricità è destinato a triplicare se i produttori di questi apparecchi e altri dispositivi elettronici (televisore, console) non lavoreranno su soluzioni più efficienti. Ma è necessaria anche la collaborazione dei consumatori, che dovranno cominciare a fare scelte più consapevoli al momento dell’acquisto, nella convinzione che un consumo più attento a livello domestico contribuisce anche alla riduzione delle emissioni di CO2.

LO STUDIO - Secondo l'analisi dell'Agenzia Internazionale dell'Energia dal 1990 a oggi la richiesta di energia domestica è cresciuta al ritmo del 3,4 per cento ogni anno e secondo l'Agenzia non è tanto colpa di frigoriferi e lavatrici, ma del proliferare di apparecchi come iPod, tv, pc, stampanti, etc. Basta pensare che solo il consumo indotto dalla televisione nell’ultimo decennio è triplicato. Del resto ormai nel 2009 il numero di persone che utilizzano un pc nel mondo ha superato il miliardo, gli utenti televisivi sono due miliardi e metà della popolazione globale è titolare di un abbonamento di telefonia mobile.

I PRODUTTORI - Le aziende costruttrici di apparecchiature elettroniche dovranno puntare su modelli a basso consumo, anche perché da parte dei governi è estremamente difficile fissare degli standard accettabili, a causa della continua evoluzione di questi prodotti. Vero è che alcuni produttori hanno già fatto molto in questa direzione. Attualmente però il report parla chiaro: il mondo consuma troppo e con questo trend di crescita resisteremo ancora poco più di vent’anni. Dopo il 2030 non ci sarà più sufficiente energia per tutti.

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20/05/2009 15:51

Venerdì sarà caldo record. Allarme rosso a Roma e Perugia

ROMA - Caldo record venerdì a Roma e Perugia. Le temperature potrebbero superare i 33 gradi. La Protezione civile lancia allarme rosso. Il Sistema nazionale di sorveglianza che tiene sotto controllo 27 cittàin tutta Italia, informa che tra domani e dopodomani a Roma e Perugia, già a livello 2 in questi giorni, scatterà l'allerta massimo, con temperature massime sopra i 30 gradi. Colpa delle correnti calde provenienti dall'Africa.

Il livello di allerta 3 della Protezione civile, prevede "condizioni meteorologiche a rischio (che persistono per tre o più giorni consecutivi) e la necessità di attuare interventi di prevenzione mirati alla popolazione a rischio", anziani e bambini. Il comune di Roma invierà a casa dei pensionati un pieghevole con i consigli per combattere il caldo. Il centralino dell'Asl di Perugia informa sui servizi d'emergenza a cui rivolgersi.

In questi giorni, le citta' più "fresche" saranno invece Bolzano, Cagliari, Catania, Genova e Palermo con temperature percepite che non supereranno i 28 gradi.


(Bambini, anziani e cardiopatici, ecco come difendersi dal caldo
canali.kataweb.it/salute/2009/05/19/bambini-anziani-e-cardiopatici-ecco-come-difendersi-da... )


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21/05/2009 00:08

Obama: "Storico piano per taglio emissioni"

WASHINGTON - "E' arrivata l'ora di mettere fine alla nostra dipendenza dal petrolio", ma per raggiungere l'obiettivo "ci vorranno tempo, voglia e sforzi". Lo dice a Washington il presidente Barack Obama nella conferenza stampa in cui ha annunciato nuove misure per produrre e commercializzare in futuro negli Stati Uniti solo autovetture a maggiore risparmio energetico. L'amministrazione propone di fissare uno standard nazionale sui consumi e sulle emissioni delle auto, superando così le divergenze eistenti a livello statale, soprattutto con la California, lo Stato che finora ha imposto i limiti più rigidi. Un piano che permetterà di ridurre di 900 milioni di tonnellate le emissioni di gas serra.

"Qui al mio fianco ci sono oggi i produttori di auto, i sindacati e gli ambientalisti - afferma il capo della Casa Bianca - gente che in passato ha spesso litigato, che si è portata in tribunale a vicenda ma che oggi è qui unita per il bene comune. Questo fatto da solo è straordinario".

I nuovi standard riguarderanno le auto prodotte a partire dal 2012 e dovranno entrare in vigore in tutto il Paese entro il 2016. I consumi previsti per quell'anno dalla Casa Bianca sono di 35,5 miglia (circa 57,13 chilometri) al gallone (più o meno 3,8 litri), in linea con quanto già stabilito dalle norme californiane: la differenza sta nel raggiungimento dell'obiettivo, al quale il piano Obama prevede di giungere più lentamente, in modo più graduale di quanto stimato al momento dalla California. La gran parte dei veicoli passeggeri dovranno raggiungere il livello di 39 miglia per gallone, mentre per i camion leggeri la media dovrà essere di 30 miglia.

Sarà come aver tolto dalle strade 177 milioni di auto o aver chiuso 194 centrali a carbone: i nuovi standard consentiranno infatti di risparmiare 1,8 miliardi di barili di petrolio entro il 2016 e di ridurre di 900 milioni di tonnellate le emissioni di gas serra. Secondo i calcoli della Casa Bianca, ogni singolo automobilista risparmierà fino a 2800 dollari l'anno in minori consumi di benzina a fronte di un aumento iniziale del costo delle auto di circa 600 dollari.

"Fino a ora è stato fatto poco per aumentare l'efficienza dei veicoli", ha aggiunto il presidente osservando che proprio questo fa dell'accordo una svolta "storica" che "rappresenta non solo un cambiamento della politica a Washington ma anche un cambiamento nel modo di stare sul mercato". E ancora: "La situazione attuale non è più accettabile. Per decenni abbiamo fatto poco per migliorare l'efficienza energetica delle automobili americane".

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23/05/2009 02:01

Caldo, fine settimana di fuoco. Temperature anche a 35 gradi




ROMA - Massima "allerta caldo" nel fine settimana in 19 delle 27 città italiane monitorate dal sistema nazionale della Protezione civile. La causa dell'ondata di calore è la persistenza di un promontorio di matrice africana, che da alcuni giorni sta investendo la penisola e il bacino del mediterraneo centro-occidentale.

La temperatura massima media (che di solito si raggiunge intorno alle ore 14) salirà di altri 2-3 gradi in tutte le città italiane. Secondo le previsioni, in testa alla classifica delle città con la temperatura più alta del week end ci sarà Bologna, dove (anche se l'allerta afa per i prossimi due-tre giorni sarà arancione e non rossa), domenica la colonnina di mercurio arriverà a toccare i 35 gradi (domani 33). A seguire Milano con livello 2 ma con 34 gradi di massima domenica (32 domani). Tra 24 ore a Firenze si registreranno 33 gradi e domenica si passera" a 34.

Nella Capitale domenica si arriverà a 31 gradi di massima, a cui va aggiunto l'alto tasso di umidità che aumenta conseguentemente anche i rischi per la salute della popolazione.

Il livello 2 (quello arancione), ricorda la Protezione civile, prevede "temperature elevate e condizioni meteorologiche che possono avere effetti negativi sulla popolazione". Il livello di allerta 3 (quello rosso) prevede invece una situazione con rischi più alti e per più giorni: "ondate di calore che persistono per due o tre giorni consecutivi" e condizioni meteo che necessitano "di interventi di prevenzione mirati" per gli anziani e i bambini.

Emergenza sfollati. Con la situazione attuale, anche l'Abruzzo colpito dal terremoto risentirà di un ulteriore aumento delle temperature, soprattutto sul settore occidentale, sulle zone collinari e nelle principali valli del versante orientale (Val Vomano, Val Pescara, Val di Sangro), con temperature localmente superiori ai 30/33 gradi. E il caldo aumenterà i disagi di quanti vivono nelle tendopoli.

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24/05/2009 21:33

Uccelli virtuosi del canto? Dipende tutto dal clima

ALCUNI emettono solo pochi suoni, un po' monotoni. Altri invece sono dei virtuosi, dal canto talmente elaborato da riuscire ad incantare - e sorprendere - un pubblico particolarmente esigente. In questo caso, quello degli scienziati, che, analizzando gorgheggi e richiami degli uccelli canori sono giunti ad una inedita conclusione: il segreto della particolare abilità "melodica" di certi esemplari è legato al clima. Più questo è incerto ed imprevedibile, più gli uccelli sviluppano una capacità particolare di variare e modulare il loro canto.

Per i ricercatori, è questione di sopravvivenza. Se gli uccelli si trovano ad affrontare inverni duri, climi particolarmente asciutti o con variazioni imprevedibili, diventa più difficile per loro cavarsela e riuscire a riprodursi. Il cibo rischia di scarseggiare da un momento all'altro, e l'ambiente può diventare improvvisamente ostile. Studiando una specie particolare, il mockingbird, (mimo poliglotto), ricercatori americani hanno osservato che proprio gli esemplari che vivono in ambienti estremi tendono a cantare in modo più variato ed elaborato. "Un collegamento sorprendente", secondo il dottor Carlos Botero del National Environmental Synthesis Center, uno degli autori dello studio pubblicato su Current Biology, "che indica che il clima rivela molto del luogo in cui gli animali vivono ma anche della loro personalità e qualità".

Il canto è uno strumento di seduzione per gli uccelli, che lo utilizzano per attirare le femmine e respingere i rivali in amore. Allo stesso tempo è un codice che rivela moltissime informazioni su chi lo emette. Gli uccelli, infatti, imparano a cantare, e i risultati che raggiungono in questa abilità sono indicativi delle loro capacità mentali. In ambienti dal clima particolarmente incerto, comunicare con note melodiose e sofisticate non è solo un vezzo per gli uccelli, ma diventa un'abilità critica, perché le femmine si fanno altamente selettive nella ricerca di un compagno. E chi canta meglio, rivela di essere più adatto a sopravvivere in un ambiente difficile, mostrando la propria intelligenza ed inventiva. E quindi risulta più appetibile.

Gli studiosi - hanno partecipato alla ricerca anche il Cornell Lab of Ornithology e la McGill University - hanno analizzato il canto del mockingbird in ambienti molto diversi, dal deserto alla giungla. Le registrazioni di fischi, gorgheggi, trilli e pigolii sono state studiate e convertite via computer in sonogrammi, che permettono ai ricercatori di "vedere" il suono. Dati successivamente confrontati con database di informazioni climatiche, con precipitazioni atmosferiche e temperature relative alle diverse località. L'analisi dei dati ha lasciato pochi dubbi: gli uccelli che vivevano nelle zone più difficili e variabili climaticamente, sono risultati nettamente più abili nel canto.

La cosa ci interessa da vicino, perché qualcosa di simile accade anche per l'uomo. Si ipotizza da tempo, ricorda Botero, che alcune manifestazioni umane, come il linguaggio, la musica l'arte e la letteratura, si siano evolute come segnali di intelligenza nel processo di selezione sessuale. E i nostri dati, sottolinea lo studioso, "indicano che un processo simile si verifica negli uccelli canori". Per gli scienziati è un'opportunità in più per comprendere quali sono le forze che agiscono favorendo l'evoluzione di tratti così importanti anche per l'uomo.

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27/05/2009 00:18

Taglio gas serra, la Cina apre: -40% entro il dieci anni

Dal ping pong tra Germania e Cina esce la formula magica: 40 per cento al 2020. E' la proposta di taglio delle emissioni serra che terrà banco da oggi a dicembre, quando a Copenhaghen si riunirà il vertice delle Nazioni Unite sul clima. Per la prima volta sul tavolo del negoziato c'è una cifra in linea con le preoccupazioni degli scienziati che chiedono un taglio dell'80 per cento rispetto ai livelli del 1990 in tempi rapidi. Rapidi naturalmente va inteso in senso industriale: c'è da ricostruire la macchina energetica che per due secoli si è adagiata sulle scorte di combustibili fossili ignorando il rischio di un disastro climatico.

Il traguardo è dunque interessante: che realmente si raggiunga è tutto da vedere. Ieri Pechino ha ufficialmente appoggiato l'idea di un taglio del 40 per cento da parte del cartello dei paesi industrializzati, mentre per quanto riguarda le proprie emissioni è rimasta ferma a una generica disponibilità alla riduzione senza fissare paletti. Tutto ruota sempre attorno alla formula delle "comuni ma differenziate responsabilità": vuol dire che chi ha inquinato più a lungo deve impegnarsi di più. Ma quanto di più? E che tagli è giusto pretendere da paesi che, pur essendo arrivati recentemente alla fase industriale, figurano oggi ai vertici dell'inquinamento mondiale?
La bozza della possibile intesa di Copenghen, che da qualche giorno circola tra gli addetti ai lavori costellata da centinaia di parentesi che indicano i punti su cui non c'è ancora accordo (quasi tutti), sta cominciando a produrre una reazione a catena di risposte politiche. La Germania ha proposto che il cartello dei paesi industrializzati imiti l'esempio europeo di adesione al protocollo di Kyoto: si fissa un tetto collettivo (la proposta è il 40 per cento) e si suddivide il carico in maniera proporzionale alla forza e alla spinta verso l'innovazione industriale dei vari paesi. Per chi non se la sente di assumere un impegno così forte con misure solo domestiche, si allarga il ventaglio delle opzioni di intervento a favore dell'efficienza e delle rinnovabili da mettere in campo nelle aree più povere del mondo.

Un'iniezione di green economy pensata anche come un ricostituente per un'economia globale che ha bisogno di ripartire. E su questa ipotesi, per la prima volta, si registrano aperture da parte dei paesi non Ocse. Si va dalla Cina a Tuvalu, una delle piccole isole che rischiano di venire sommerse dall'innalzamento dei mari e che ora dichiara che anche i meno poveri tra i paesi in via di sviluppo devono fare la loro parte nel taglio delle emissioni serra.

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05/06/2009 07:59

Ecco perché Stati Uniti e Cina sono in corsa per pulire il mondo


"LA CINA si candida a diventare il Dragone Verde, vuole vincere la corsa mondiale verso un'economia low-carbon, a bassa emissione di Co2". Non è propaganda del regime di Pechino. L'affermazione, fatta alla vigilia della Giornata mondiale dell'Ambiente dell'Onu che si celebra oggi, è di Steve Howard che dirige il Climate Group, importante ong ambientalista americana. Howard indica la chiave di questa conversione: "I dirigenti cinesi si sono convinti che questa è la nuova ricetta del profitto". Via via che si svelano i contenuti della maximanovra di investimenti pubblici varati dalla Repubblica Popolare per rilanciare la crescita, ecco che cosa si scopre: su 586 miliardi di dollari di spesa pubblica aggiuntiva, ben 220 miliardi (il 40%) va a finanziare l'industria verde, dal risparmio energetico alle fonti rinnovabili, dall'auto elettrica al motore ibrido. L'Amministrazione Obama rincorre la lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112 miliardi) per l'ambiente.

E almeno in un settore l'America si piazza in testa in questo duello: negli ultimi 12 mesi ha installato 8.300 megawatt di impianti eolici, un record storico, mentre la Cina arriva seconda con 6.300 megawatt di energia prodotta dal vento. Entro la fine del 2009 però il colosso asiatico sarà il primo esportatore mondiale di turbine eoliche. Arranca un po' indietro l'Unione europea, che pure fu a lungo un modello di virtù per avere sottoscritto quasi da sola gli impegni di Kyoto sulla riduzione delle emissioni carboniche. Ma anche sul Vecchio continente spira un vento di ottimismo. La battaglia ambientale non è più percepita come una zavorra, un sovrappiù di costi, e un ostacolo allo sviluppo. Al contrario la Commissione di Bruxelles annuncia che "i benefici delle energie rinnovabili in termini di sicurezza e di lotta all'inquinamento vanno a braccetto con consistenti vantaggi economici". Non sono affermazioni volontaristiche. Già oggi il solo business delle energie rinnovabili occupa 1,4 milioni di europei, per lo più ricercatori, tecnici, manodopera altamente qualificata. "Altri 410.000 posti di lavoro aggiuntivi verranno creati - spiega la Commissione - se l'Unione europea raggiunge l'obiettivo del 20% di energie rinnovabili sul totale entro il 2020".

Più dei proclami politici, più delle esortazioni lanciate da istituzioni internazionali, l'ottimismo è sorretto dalla nuova attenzione che il mondo del business rivolge all'ambiente. Un sorpasso significativo è avvenuto nel corso del 2008, lo annuncia ora lo United Nations Environmental Program. Per la prima volta nella storia, l'anno scorso i capitali privati globalmente investiti nelle fonti rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato quelli investiti negli idrocarburi e altre energie fossili (110 miliardi). Il contributo decisivo a questo sorpasso lo hanno dato le nazioni emergenti. Guidate da Cina e Brasile, hanno aumentato del 27% i loro investimenti in energie pulite.

Certo i problemi da risolvere restano immani. La Cina si è risvegliata solo dopo che il suo modello di sviluppo energivoro ha seminato distruzione. Oggi sui 600 milioni di cinesi che abitano in zone urbane, solo l'1% respira un'aria che sarebbe considerata "non tossica" in base agli standard europei. E la recessione può esercitare un pericoloso effetto anestetizzante. Grazie al crollo della produzione industriale, ai fallimenti, alle chiusure di fabbriche, il 2008 ha visto per la prima volta una riduzione parallela delle emissioni di Co2 sia in Cina che in America. Questo è un effetto tipicamente temporaneo, non deriva da cambiamenti strutturali. Guai se lo choc recessivo crea l'illusione che si possa abbassare la guardia. La decrescita può far male all'ambiente se inaridisce i finanziamenti nella ricerca.

Il più grande inquinatore del pianeta sembra deciso a fare sul serio. L'ultimo rapporto del Climate Group sulla Cina è intitolato "La Rivoluzione Pulita". Negli ultimi mesi Pechino ha già investito 12 miliardi di dollari in energie rinnovabili: è seconda solo alla Germania. La Repubblica Popolare pianifica di raddoppiare il peso delle energie pulite portandole al 15% del totale entro il 2020. È un obiettivo ambizioso vista la situazione di partenza: oggi l'80% della corrente in Cina è generata da centrali termoelettriche a carbone. Anche sul carbone, la materia prima più inquinante in termini di Co2, c'è uno spiraglio. L'Agenzia Internazionale dell'Energia spiega che "le scelte cinesi saranno la chiave per un uso meno inquinante del carbone, la sfida in assoluto più urgente". Secondo l'Aie la Repubblica Popolare può diventare "leader nel business del carbone pulito, dove sta sviluppando innovazioni tecnologiche uniche, che altri paesi dovrebbero adottare". Un segnale della nuova attenzione che si respira su questi temi: dopo averlo ignorato per anni, il governo cinese ha accolto a braccia aperte Al Gore. Il Premio Nobel è stato finalmente autorizzato a organizzare un importante convegno a Pechino, sul cambiamento climatico, con il contributo parallelo dell'Accademia delle Scienze e dell'Asia Society di Orville Schell (un think tank di New York che in passato non ha lesinato le critiche alla politica cinese). Il disgelo è avvenuto con la benedizione del mondo industriale: nella recessione globale, il business verde è uno dei pochi motori ancora trainanti. In questo caso l'economia di mercato aiuta l'ambiente, perché è pilotata da una guida politica. Da Washington a Pechino, il ruolo dello Stato è cruciale nel mandare impulsi al settore privato, costruendo la nuova cornice di incentivi e disincentivi entro cui si muove il mercato.

La logica del profitto, piegata a fini virtuosi, è all'opera in un settore che a lungo è stato l'imputato numero uno per l'inquinamento atmosferico: l'automobile. Anche in questo caso la Cina è un laboratorio interessante. Pechino punta a battere tutti sul traguardo dell'auto elettrica, "saltando" una generazione nel percorso di sviluppo della sua industria automobilistica. Il gruppo Byd di Shenzhen, partito da una posizione di forza come fornitore mondiale di batterie per telefonini, si è diversificato nelle batterie per auto e sviluppa un modello a motore interamente elettrico. I capitali privati ci credono, al punto che l'operazione coinvolge il nome più illustre della finanza americana. Nel settembre 2008 il gruppo Berkshire Hathaway che fa capo a Warren Buffett (detto il "saggio di Omaha", il secondo uomo più ricco del pianeta) ha acquistato una quota del 10% nel capitale della Byd, scommettendo che la Cina sarà tra i vincitori nella corsa. Il primo modello di berlina quattroporte ad alimentazione solo elettrica della Byd sarà in vendita in America nel 2011.

Barack Obama non vuole rassegnarsi al dominio asiatico nell'auto pulita. Annunciando la bancarotta della General Motors, che deve sfociare nel parto di una casa più snella e competitiva, il presidente ha ribadito che tra i compiti del nuovo management c'è il rinnovamento della gamma per ridurre i consumi energetici. Gli effetti si sentiranno a cascata perché l'industria automobilistica è al centro di una vasta ragnatela: l'indotto è l'universo di aziende che forniscono componenti, si stima che raggiunga fino a due milioni di persone negli Stati Uniti. Come dimostra il caso delle aziende giapponesi, sudcoreane e cinesi che producono batterie al litio per auto elettriche o ibride, attorno alla domanda di un'auto pulita si genera un intera attività industriale nuova. Inaugurando una fase di interventismo statale che non ha precedenti dai tempi di Franklin Roosevelt, Obama ha chiarito che ambiente e profitto devono andare d'accordo. È questa la cifra distintiva della sua politica industriale. Il sociologo inglese Anthony Giddens è convinto che sia la strada giusta per superare le resistenze del passato: "Obama riesce a trasformare l'ambientalismo in un messaggio positivo. Rende evidente il nesso tra energie alternative, sicurezza, e crescita economica. È capace di ispirare una vera svolta, e questa può contagiare anche l'Europa".

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05/06/2009 22:18

Giornata mondiale dell'ambiente - L'Onu: «Il mondo ha bisogno
L'appello di Ban Ki-moon: «Servono passi concreti da parte dei governi. Ma la Terra ha bisogno di tutti»



BRUXELLES - Una campagna di informazione per incoraggiare i governi a trovare soluzioni comuni sul cambiamento climatico. È l'iniziativa lanciata dall'Onu in occasione della Giornata Mondiale dell'Ambiente: si chiama "Seal the Deal" ed ha come obiettivo finale la sensibilizzazione dei leader politici in vista della conferenza di Copenhagen (dal 7 al 18 dicembre). «Il mondo ha bisogno di un 'Nuovo accordo verde' che si concentri sugli investimenti in risorse rinnovabili, infrastrutture eco-compatibili ed energie efficienti» ha ribadito il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. «Questo determinerà non soltanto creazione di posto di lavoro e stimolo alla ripresa economica - ha aggiunto - ma concorrerà anche ad affrontare il problema degli effetti del surriscaldamento globale. Investendo nell'economia verde - ha spiegato- anche soltanto parte degli incentivi contenuti nei nuovi pacchetti di stimolo economico, possiamo trasformare la crisi di oggi nella crescita sostenibile di domani». Per questo Ban invita «tutti a compiere passi concreti verso un pianeta più verde e più pulito». E ha ammonito: «Spegnete le luci. Usate i mezzi pubblici di trasporto. Riciclate. Piantate un albero. Pulite il parco del vostro quartiere. Rendete le società responsabili delle loro attività ambientali. E spronate i rappresentanti dei vostri governi a siglare l'accordo a Copenhagen. La Terra ha bisogno di ognuno di noi».

L'ULTIMA POSSIBILITA' - Sulla stessa linea il commissario europeo per l'Ambiente, Stavros Dimas, che chiede più slancio e ambizione nelle trattative internazionali per il nuovo accordo mondiale sul clima di Copenaghen, che «rappresenta l'ultima possibilità che abbiamo di evitare che i cambiamenti climatici raggiungano i livelli pericolosi, se non addirittura catastrofici, previsti dagli scienziati già per il 2050, con conseguenze che si ripercuoteranno sulla vita di oltre un miliardo di giovani d'oggi».

TUTTE LE INIZIATIVE - Tra gli eventi organizzati per il «World Environment Day», oltre alla presentazione mondiale del film «Home», c'è il lancio del progetto 'Eroi del clima', un'iniziativa dell'Unep che sostiene persone che abbiano intrapreso iniziative a favore dell'ambiente: è il caso di Charles e Sho Scott di 'Ride Japan', una squadra composta da padre e figlio che in giro per il Giappone in bici parlano di tutela dell'ambiente, oppure Roz Savage, una donna che ha attraversato l'Oceano Pacifico a remi per dare un messaggio: agire contro l'innalzamento dei livelli di CO2 camminando di più e guidando di meno. Tra le eco-iniziative anche la piantumazione di 20mila mangrovie a Kedah, in Malesia, oltre ai tanti alberi collocati ai quattro angoli del Pianeta nell'ambito della campagna dell'Unep che punta a piantare 7 miliardi di alberi entro la fine del 2009. Ad ospitare le principali celebrazioni della giornata mondiale dell'ambiente quest'anno è il Messico, che ha organizzato una serie di eventi a Quintana Roo, nella provincia dello Yucatan, tra cui una conferenza alla quale è prevista la partecipazione del governatore della California, Arnold Schwarzenegger, del ministro dell'Ambiente messicano, Juan Elvira Quesada e di Achim Steiner, direttore dell'Unep.

MONITORAGGIO NELLE OASI DEL WWF IN ITALIA- Nell'ambito della Giornata dell'Ambiente parte in Italia un progetto promosso dalla Facoltà di Agraria dell’Università della Tuscia di Viterbo per conoscere la capacità di assorbimento di Co2 delle nostre aree naturali, e renderle sempre più capaci di adattarsi ad un clima destinato a modificare profondamente l’ambiente. In questo contesto il Wwf ha inaugurato un altro "tassello" di ricerca e divulgazione sul ruolo delle aree protette per la lotta ai cambiamento climatici. Si tratta dell’inaugurazione della prima stazione di misurazione dei gas serra (una torre alta 13 metri) in un bosco di pianura in area protetta, nell’Oasi umida del Wwf di Alviano, in Umbria, che contribuirà ad una serie di rilevamenti utili alla misurazione dei gas serra negli ecosistemi delle oasi. «La torre di rilevamento nell’Oasi di Alviano – dice Riccardo Valentini, professore all’Università della Tuscia dove dirige il Laboratorio di Ecologia Forestale e presidente della Commissione CNR sui cambiamenti globali – è la prima installata in un’area naturale umida e ci consentirà letteralmente di "ascoltare" il respiro del bosco, quanta CO2 assorbe e quanto ossigeno rilascia. Questo impianto nasce come Centro dimostrativo per far conoscere al pubblico come funziona il monitoraggio dei gas serra e il ruolo fondamentale degli ecosistemi forestali nell’assorbimento di CO2 e, quindi, dimostrare quanto questi ecosistemi siano essenziali per mantenere la temperatura media globale al di sotto dei ‘fatidici’ 2°C”.


VADEMECUM - Il messaggio ambientale sembra recepito anche da molte aziende che, stando almeno alle dichiarazioni di intenti, avrebbero preso a cuore la questione ambientale. General Electric, ad esempio, proprio in occasione della Giornata Mondiale dell'Ambiente ha stilato il «vademecum del consumatore consapevole». Cinque mosse che permettono a tutti di contribuire alla salvaguardia dell'eco-sistema: sostituire le vecchie lampadine a incandescenza con quelle fluorescenti; acquistare elettrodomestici, prodotti per l'illuminazione e apparecchiature con il certificato di "efficienza energetica"; attenzione all'illuminazione di giardini, esterni e spazi comuni negli uffici; ricordarsi di spegnere le luci; dare il giusto valore all'illuminazione.

DEFICIT ECOLOGICO - Il Barilla Center for Food&Nutrition ha invece presentato un nuovo documento dedicato ai temi del cambiamento climatico, dell'energia e dell'ambiente: secondo questa ricerca, la superficie di terreno che sarebbe necessaria per produrre e smaltire i consumi di ogni italiano (vale a dire l'Ecological Footprint pro-capite) è pari a oltre 6 campi da calcio. Per soddisfare i nostri consumi attuali, servirebbero insomma tre Italie. «Secondo questi indicatori - spiega Barbara Buchner, ricercatrice all'Iea (International Energy Agency) - oggi il consumo di risorse nel mondo è superiore del 130% alla capacità globale della Terra. E secondo le attuali stime di crescita economica, demografica, di emissioni di CO2 e di consumi, nel 2050 i pianeti necessari sarebbero più di due». Il problema è che di Terra ce n'è una sola.

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07/06/2009 01:16

Chi è più avanzato?


Da oltre due mesi le comunità degli indios amazzonici moltiplicano i blocchi delle strade, degli oleodotti e dei fiumi nel nord del Perù per protesta contro i decreti legge sullo sfruttamento delle risorse del sottosuolo. Fra ieri e oggi, la protesta ha fatto almeno una trentina di morti: almeno 18 ieri negli scontri con la polizia (ma potrebbero essere molti di più, e i civili morti potrebbero essere anche 25), e nove poliziotti uccisi oggi nel blitz per liberare 38 agenti presi in ostaggio. Ventidue poliziotti, ha spiegato il generale Miguel Hidalgo, capo di Stato maggiore della polizia, "sono sani e salvi". Nulla ha detto sul destino dei rapitori. Gli agenti, in servizio di sorveglianza a una stazione di pompaggio, erano stati bloccati ieri da un migliaio di indios per rappresaglia contro un'operazione di polizia. Ieri 400 agenti sono stati mandati dal governo all'attacco di un posto di blocco fatto di pietre e tronchi d'albero. Il presidente peruviano Alan Garcia ha poi dichiarato che era tempo di mettere fine ai blocchi stradali usando le maniere forti. Gli scontri hanno fatto almeno 16 morti, di cui 11 sono agenti delle forze dell'ordine. I morti civili, dice la procura, sarebbero invece 5; ma diversi media parlano di almeno 25 uccisi. A Bague e Bagua Grande - due località del nord est dove almeno due persone sono state uccise a pistolettate ieri - la rabbia è esplosa portando al sequestro dei poliziotti. Sono stati segnalati anche saccheggi e incendi di edifici pubblici che hanno spinto il governo a decretare un coprifuoco. Uno dei leader del movimento, Alberto Pizango, ha denunciato "un massacro commesso dal governo nel quadro di un piano di cessione delle risorse alle industrie straniere, che include la privatizzazione delle nostre terre". Pizango lamenta che gli indios sono trattati "come cittadini di serie B", e chiede al governo di classificare 25 milioni di ettari come "territorio ancestrali", zona tutelata nella foresta amazzonica. Da quasi quarant'anni le compagnie petrolifere hanno avuto mano libera nell'esplorazione petrolifera nella foresta amazzonica. Il presidente, Alan Garcia, sostiene che tutti i peruviani dovrebbero trarre beneficio dalla ricchezza petrolifera (e non solo gli indios che abitano le zone interessate). La Costituzione del Perù del resto afferma che la ricchezza mineraria e petrolifera peruviana è di proprietà dello Stato. Dall'inizio di aprile, 65 comunità etniche amazzoniche si sono dichiarate in guerra con il governo contro i decreti legge del 2007-8 che autorizzano le ricerche e sfruttamento dei loro territori. Le comunità chiedono di essere consultate quando si prende una decisione - come dare l'ok a una esplorazione del sottosuolo o all'estrazione di petrolio - che ha impatto sull'ecosistema delle terre dove vivono.
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12/06/2009 12:57

Allarme migrazioni di massa - In fuga dal clima impazzito


UNA MAREA umana in fuga da siccità, inondazioni, mari che si innalzano fino a mangiare la terra, e da altri fenomeni figli dei mutamenti del clima. Migrazioni di massa, alla ricerca di una vita migliore o, più semplicemente, di un modo per rimanere vivi, che si verificheranno su larghissima scala nei prossimi decenni, coinvolgendo decine di milioni di persone: qualcosa di mai visto prima, per ampiezza ed estensione. E' lo scenario tratteggiato da un nuovo rapporto presentato oggi a Bonn a margine dei negoziati per un nuovo accordo contro il riscaldamento globale, curato dal Center for International Earth Science Information Network della Columbia University, di New York, dalla United Nations University e da Care International. Che non azzarda cifre precise - anche se altri studi hanno indicato fra i 25 ed i 50 milioni di potenziali sfollati e profughi entro il 2010 e 700 milioni entro il 2050, mentre l'Organizzazione internazionale dei migranti si tiene su una cifra mediana, di 250 milioni nel 2050 - ma sottolinea quanto il clima giochi e giocherà sempre di più un ruolo chiave in questo fenomeno, a fianco di altri elementi come l'instabilità politica ed economica, e la distruzione da parte dell'uomo di specifici ecosistemi oltre allo sfruttamento eccessivo dei terreni per l'agricoltura.

Pensare che riguardi solo i paesi più poveri è un'illusione: le ripercussioni, scrivono i ricercatori nel rapporto "In search of shelter, mapping the effects of climate change on human migration and displacement", si faranno sentire per tutti, su scala globale. Perché "il clima è il contenitore nel quale ognuno di noi vive quotidianamente la propria vita", ricorda Alexander de Sherbinin, coautore dello studio.

Cause - ed effetti - dei "profughi del clima" sono a tutto campo. E vanno dalla distruzione delle economie basate su ecosistemi di sussistenza specifici come la pastorizia, agricoltura e pesca, fattore dominante nelle migrazioni forzate, all'aumento per frequenza ed intensità di calamità naturali come cicloni, inondazioni e siccità, dovuti al cambiamento del clima. Le piogge in Messico ed America Centrale, ad esempio, nel 2080 caleranno dell'80 per cento. A causa di queste modifiche ambientali, gli allevatori, in alcune parti del Messico così come nel Sahel africano, stanno già oggi lasciando le loro case per spostarsi in zone più accoglienti.

Il livello dei mari, poi, è una minaccia per moltissimi Paesi e città, da Mumbai a Los Angeles, da Rio de Janeiro a New York. L'arrivo di acque salate, insieme ad inondazioni ed erosioni, rischia di distruggere l'agricoltura nei popolati delta del Mekong, del Nilo o del Gange. Con danni inimmaginabili: un innalzamento del livello del mare di due metri - ampiamente previsto in diverse proiezioni per questo secolo - inonderebbe quasi la metà dei 3 milioni di ettari di terreni coltivati del Mekong. E isole del Pacifico stanno già considerando un esodo di massa della popolazione: è il caso ormai famoso delle Maldive.

Non solo: lo scioglimento dei ghiacciai alpini nell'Himalaya porterà la devastazione in diverse terre coltivate in Asia, aumentando le inondazioni e riducendo drasticamente le riserve di acqua a lungo termine. Un dato drammatico se si pensa che i bacini del Gange, del Brahmaputra, dell'Irawaddy, dello Yangtzee e del Fiume Giallo danno sostentamento a 1,4 miliardi di persone.

La maggior parte dei migranti, probabilmente rimarrà all'interno dei confini del proprio stato, rileva il rapporto, o si trasferirà nei Paesi confinanti, ma questo non sarà possibile in tutti i casi. Se i conflitti interni si esaspereranno, le conseguenze arriveranno lontano, fino ad interessare anche i Paesi più ricchi. Uno scenario sorprendente e molto serio, avverte Charles Ehrhart, coordinatore dei mutamenti climatici per l'organizzazione internazionale CARE, in cui le società colpite maggiormente dai cambiamenti ambientali potrebbero trovarsi invischiate "in una spirale negativa di degrado ecologico, che le trascina in basso, dove non esistono più reti di sicurezza sociali, mentre violenza e tensioni aumentano".

Per questo, raccomandano i ricercatori, è vitale che i Paesi raggiungano un accordo per il taglio delle emissioni di gas serra all'incontro sul clima delle Nazioni Unite che si terrà a dicembre. Anche se il processo negativo è già innescato e le conseguenze rischiano di essere inevitabili. "I cambiamenti del clima stanno avvenendo con velocità ed intensità maggiori rispetto alle previsioni precedenti" si legge nelle conclusioni del rapporto. "I livelli di sicurezza per i gas serra atmosferici potrebbero essere molto inferiori rispetto a quanto non si pensasse prima e allo stesso tempo le emissioni di CO2 aumentano ad un tasso sempre più elevato". Con ripercussioni senza precedenti per la popolazione: "Le migrazioni vanno riconosciute come un elemento importante dell'adattamento" ai mutamenti climatici, sottolinea ancora Ehrhart.

Prioritari, quindi, raccomandano gli esperti, sono gli investimenti per i Paesi più a rischio, ed un approccio della comunità internazionale pratico, con accorgimenti come lo sviluppo di tecniche di irrigazione che sfruttino una minore quantità di acqua, e la preparazione di sistemi specifici per affrontare meglio i disastri naturali. I Paesi devono inoltre trovare un accordo su come trovare una sistemazione per le popolazioni che abitano pianure a rischio. E occorre migliorare il sistema delle rimesse degli emigrati per i familiari che rimangono nelle regioni più vulnerabili.

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28/06/2009 00:53

Obama, avanti sul clima. Sì della Camera alla legge


WASHINGTON - Obama va avanti sulla sua politica "verde". La Camera dei Rappresentanti Usa ha approvato nella notte italiana (219 voti favorevoli e 212 contrari) la nuova legge sul clima ("Climate change bill") che pone severi limiti alle emissioni di gas inquinanti. La legge, che deve ancora essere approvata dal Senato, è considerata dalla amministrazione una delle maggiori priorità della agenda del presidente americano. Il presidente ha fatto subito conoscere la sua soddisfazione: "Un passo coraggioso e necessario" ha detto aggiungendo la sua speranza che anche dal Senato arrivi presto un "sì".

La legge impone alle compagnie americane - incluse le raffinerie e le centrali di energia - di ridurre le emissioni di gas inquinanti (associate al mutamento del clima) di una percentuale del 17 per cento entro il 2020 e dell'83 per cento entro il 2050, prendendo come punto di riferimento i livelli del 2005.

La legge mira, oltre a creare una produzione di energia meno inquinante, a ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni di petrolio estero con un passaggio graduale alla energia pulita al posto del petrolio e del carbone.

La legge è stata approvata dalla Camera col sostegno quasi esclusivo della maggioranza democratica: solo otto repubblicani hanno votato a favore della misura.
I sostenitori della legge sottolineano il beneficio per l'ambiente mentre i critici affermano che la legge provocherà la chiusura di numerosi posti di lavoro.

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02/07/2009 13:42

Clima, le pagelle del Wwf "Bocciati in cinque su otto"


ROMA - Si fanno chiamare "otto grandi", ma quando si tratta di tagliare le emissioni di CO2 e mettere in campo politiche per contrastare il riscaldamento globale, tanto grandi non lo sono più. E, soprattutto, da otto diventano tre. A una settimana dal G8 in programma a L'Aquila e a poco meno di sei mesi dalla fondamentale scadenza della conferenza Onu sul clima in programma a dicembre a Copenaghen, il Wwf internazionale in collaborazione con Allianz, ha distribuito, come è ormai consuetudine (vedi l'edizione 2008 e 2007), gli "Scorecards", le pagelle sulle politiche nazionali di contrasto ai cambiamenti climatici.

Il quadro che ne emerge non è affatto rassicurante. A essere promosse, tenendo conto solo del rispetto degli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica fissati dal timido Protocollo di Kyoto ma non certo di quanto occorrerebbe fare in realtà, sono solo Germania, Gran Bretagna e Francia. Bocciate, per ragioni diverse, Italia, Stati Uniti, Giappone, Russia e Canada. Molto meglio invece, soprattutto per gli impegni messi in campo, i paesi emergenti, dal Sudafrica alla Cina, dal Messico all'India, che si stanno dando tutti attivamente da fare per rallentare le future emissioni di gas serra.

GUARDA LA CARTINA INTERATTIVA

"Prime della classe - si legge nel rapporto allegato agli Scorecards 2009 - sono Germania, Regno Unito e Francia, che hanno già raggiunto i rispettivi obiettivi nazionali per il Protocollo di Kyoto. L'Italia resta ferma al quarto posto per il terzo anno consecutivo, collocandosi a un livello intermedio insieme al Giappone". Il nostro paese galleggia a metà classifica grazie a consumi energetici non particolarmente elevati che una politica inetta e indecisa, fatta di provvedimenti disorganici e spesso contraddittori, non riesce però a ridurre ulteriormente, abbassandoli ad un livello di sostenibilita. Anche se, come ribadisce uno studio commissionato appositamente dal Wwf alla società Ecofys in vista del G8, all'Italia costerebbe davvero poco (4 miliardi di euro l'anno, lo 0,2% del Pil) per tagliare del 30% le emissioni entro il 2020.

Ancora più indietro restano il Canada, la Russia e gli Usa, anche se questi ultimi, grazie alle iniziative pianificate o annunciate dell'amministrazione Obama, hanno comunque guadagnato una posizione in classifica rispetto all'ultimo posto dell'anno scorso. La sterzata di Washington, per quanto decisa in extremis, alimenta però grandi speranze per il futuro, grazie alle fondamentali ricadute positive che la ritrovata leadership americana può mettere in moto. "La prima, vera azione da parte dei paesi del G8 - ricorda Mariagrazia Midulla, responsabile Energia e Clima del Wwf Italia - deve essere l'esempio, non si può chiedere agli altri quello che non si è (o non si è stati) capaci di fare in casa propria, quando i cambiamenti climatici sono il prodotto della nostra industrializzazione".

Per questo il Wwf in vista del summit dell'Aquila chiede ai paesi del G8 di assumere una guida effettiva, "affrontando le questioni ambientali contestualmente con quelle economiche". "Stabilità globale, pace e benessere - sottolinea l'associazione - possono essere raggiunte solo grazie a un ambiente sano e sicuro. Per questo il cambiamento climatico deve diventare parte integrale dei negoziati sulle misure finanziarie, le opportunità di lavoro e gli investimenti".

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06/07/2009 14:46

Afa e trombe d'aria
addio clima mite



Grande cronista, Niccolò Machiavelli. "Un turbine di nugolaglia grossa e folta... spinta da superiori forze, o naturali o soprannaturali che le fussero, in se medesimo combatteva... nasceva un romore mai più udito... Ciascuno che lo sentì giudicò che il fine del mondo fusse venuto". Lo scrittore fiorentino racconta "lo spaventoso turbine" che il 24 agosto 1456 si era abbattuto nelle vicinanze di Pisa. "Le spezzate nugole, ora verso il cielo salendo, ora verso terra scendendo, insieme si urtavano... molte case furono fino al piano della terra rovinate... i tetti dei templi furono più che un miglio discosto portati...".

Nelle cronache di oggi lo "spaventoso turbine" ha un altro nome: tromba d'aria. E un fenomeno meteorologico che sembrava relegato in terre lontane diventa notizia quasi quotidiana. "Tromba d'aria in Veneto: tetti scoperchiati, 28 feriti, danni per decine di milioni (6 giugno)". "Tromba d'aria, con vento a 120 all'ora, solleva per 50 metri due kitesurfisti a Campo di mare. Uno muore (20 giugno)". "Tornado a Cerveteri, distrutto un campo giochi, tetti danneggiati (21 giugno). E non ci sono soltanto gli "spaventosi turbini".

Da giorni a Roma dopo ore di afa monsonica la città viene sommersa di grandine e non è certo questa l'unica "stranezza" meteorologica di quest'anno. Sulle montagne venete la grandine è arrivata quando ancora era tempo da neve. A Pieve d'Alpago la grandinata invernale, il 24 febbraio, è riuscita a uccidere cinque cinghiali.
Si leggevano nei romanzi, le pagine sui cieli che sembrano impazziti e mandano verso la terra un vortice che sembra un cono, o una proboscide, e tutto risucchia e tutto spezza. "Le trombe d'aria della tarda primavera, e le altre arrivate nel novembre scorso - dice Luca Lombroso, meteorologo presso il dipartimento di ingegneria dei materiali e dell'ambiente all'università di Modena - sono un segno di questo tempo sconquassato. Sono anomali anche i temporali "estivi" che arrivano in autunno e pure in inverno. Esiste certamente un nesso fra le trombe d'aria, e comunque gli eventi atmosferici estremi, e il riscaldamento dell'atmosfera. Se c'è più caldo, l'acqua evapora di più e le perturbazioni sono più "cariche". Il ciclo dell'acqua diventa più veloce. Il riscaldamento globale ormai è accertato.

Secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration dal 1880 ad oggi gli otto anni più caldi sono tutti posteriori al 1997. Nell'ordine, sono il 2005, il 1998, il 2002, il 2003 (quando secondo l'Organizzazione mondiale della sanità ci sono stati 40.000 morti in Europa e 20.000 in Italia), il 2007, il 2006, il 2004 e il 2001. In cento anni nella nostra atmosfera la temperatura è salita di 1 grado. Non è poco. Con 5 gradi in meno si tornerebbe all'era glaciale. E negli ultimi vent'anni c'è stata una forte accelerazione, con un aumento di circa 0,2 gradi all'anno. In particolare nell'area del nord, dalle Alpi alla Toscana, la crescita di temperatura è stata di tre o quattro volte superiore alla media dell'ultimo secolo.
Questo mette in discussione tutto. Secondo l'0cse, nei prossimi anni, sono previsti "riduzione della neve a bassa altitudine, arretramento dei ghiacciai, cambiamenti delle temperature e precipitazioni estreme"".

Non è necessario tornare ai tempi del Machiavelli per leggere le cronache di "spaventosi turbini". L'11 settembre 1970 un tornado si abbatte nelle campagne di Padova e nella laguna veneziana. Per 58 minuti, e su una striscia di 70 chilometri, distrugge campi e case. Trentasei morti, cinquecento feriti. Velocità del vento superiore ai 220 chilometri all'ora. Nella piana di Catania, il 31 ottobre 1968, una tromba d'aria per 15 minuti devasta un corridoio di 16 chilometri. Due morti, cento feriti. Il 4 luglio 1965 il vortice si abbatte nelle campagne fra Fiorenzuola e Sissa, fra Piacenza e Parma. Nove le vittime. Il 16 giugno 1957 il tornado distrugge Robecco e Vallescuropasso, nel'Oltrepò pavese. Quando il vento arriva all'improvviso e la grandine gela l'aria - come in questi giorni a Roma - gli esperti parlano di "cella temporalesca". "Troppa energia in aria", dice Marina Baldi dell'istituto di biometeorologia del Cnr. "Di mattina cielo terso e sole caldo, di pomeriggio arriva la pioggia lampo o la grandine. In questi giorni sembra una routine ma la spiegazione è nell'energia che si accumula nell'aria. La colpa è dei "fenomeni connettivi": l'aria si comincia a scaldare durante la mattina e così si carica di energia che viene poi "rilasciata" sotto forma di precipitazioni. Le perturbazioni brevi ma intense si stanno estendendo anche al bacino del Mediterraneo". Un tempo erano fenomeni lontani, "tropicali". Ora i monsoni allagano l'Eur.

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[Modificato da cuix 06/07/2009 14:50]
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24/09/2009 17:55

Risorse rinnovabili esaurite,la Terra entra in riserva

Signori, si chiude. Se il pianeta fosse gestito come una famiglia all'antica, di quelle che non chiedono prestiti, domani dovrebbe serrare i battenti: le risorse sono finite. Ovviamente il mondo andrà avanti, ma a credito. Prenderemo energia, acqua e minerali a spese del futuro, restringendo il capitale di natura che abbiamo a disposizione. Il 25 settembre è l'Earth Overshoot Day, il momento dell'anno in cui la specie umana ha esaurito le risorse rinnovabili a disposizione e comincia a divorare quelle che dovrebbero sostenere le prossime generazioni.

A calcolare la data è il Global Footprint Network, l'associazione che misura l'impronta ecologica dell'umanità, cioè il segno prodotto sul pianeta dalla nostra vita quotidiana: dalle bistecche che mangiamo, dai cellulari che compriamo, dagli aerei che usiamo. Per millenni, fino alla rivoluzione industriale, questo segno è rimasto sostanzialmente invisibile. Ci sono stati scompensi ecologici anche violenti, ma localizzati: a livello globale gli effetti prodotti dall'esistenza di centinaia di milioni di esseri umani si confondevano con le oscillazioni periodiche della natura.

L'impatto si è fatto più consistente dall'inizio dell'Ottocento, ma solo negli ultimi decenni è cominciata la crescita drammatica che, a parte la battuta d'arresto prodotta dalla crisi economica, non accenna ad arrestarsi. Nel 1961 l'umanità consumava la metà della biocapacità del pianeta. Nel 1986 ci siamo spinti al limite ed è arrivato il primo Earth Overshoot Day: il 31 dicembre le risorse a disposizione erano finite. Nel 1995 la bancarotta ecologica è arrivata il 21 novembre. Dieci anni dopo i conti con la natura sono entrati in rosso già il 2 ottobre. Ora siamo retrocessi fino al 25 settembre: consumiamo il 40 per cento in più rispetto alle risorse che la Terra può generare. Nel 2050, se la crisi energetica non ci avrà costretto alla saggezza ecologica, per mantenere i conti in pareggio avremo bisogno di un pianeta gemello da usare come supermarket per prelevare materie prime, acqua, foreste, energia.

Forse non andrà così perché l'Earth Overshoot Day cade 80 giorni prima della conferenza di Copenaghen che costringerà il mondo a fare i conti con la più drammatica delle minacce create dal sovra consumo: il caos climatico derivante dall'uso smodato dei combustibili fossili e dalla deforestazione. La conferenza delle Nazioni Unite dovrà indicare la terapia per far scendere la febbre dell'atmosfera e la cura per ridurre le emissioni serra servirà anche a diminuire l'impronta complessiva dell'umanità.
L'esito del summit di Copenaghen appare però incerto ed è probabile che si concluderà con una faticosa mediazione, mentre solo una scelta forte a favore dell'innovazione tecnologica e di un ripensamento sugli stili di vita può rallentare il sovra consumo che mina gli equilibri ecologici. "La contro prova l'abbiamo avuta adesso", commenta Roberto Brambilla, delle Rete Lilliput che cura, assieme al Wwf, il calcolo dell'impronta ecologica. "Abbiamo sperimentato la crisi più grave dal 1929 e il risultato, in termini ecologici, è stato modesto: l'anno scorso l'Earth Overshoot Day è arrivato il 23 settembre, quest'anno il 25. Il colpo durissimo subito dall'economia mondiale ha spostato la data di soli due giorni. Questo significa che, se non si cambia il modello produttivo, neppure la malattia del sistema, con tutti i problemi connessi, può guarire l'ambiente. Al contrario diminuire il peso dell'impronta ecologica potrebbe aiutare l'economia. Ad esempio il 97 per cento del nostro patrimonio edilizio è costruito in modo inefficiente: ci sarebbe da fare cappotti isolanti per le pareti, tetti verdi e finestre con vetri ad alto isolamento da oggi al 2030".

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