00 08/04/2009 20:57
Re:
Mezcal82, 08/04/2009 20.43:

Prima pagavamo otto stronzi che decidevano il destino di miliardi di persone, ora ne dobbiamo pagare ben 20... sempre stronzi sono comunque!




In realta' continuiamo a pagare gli 8 stronzi quando si riuniscono per il G8, e paghiamo 20 stronzi quando si ritrovano per il G20...

"Complice la crescente attenzione che i media dedicano ai summit internazionali che si tengono sempre più frequentemente nel tentativo di adottare strategie comuni per affrontare non efficacia la crisi economica corrente, in molti si chiedono che differenza esista fra questi vertici e come operino. Fra gli altri, quelli che suscitano maggior interesse sono il G8 ed il G20, non fosse altro perché molti considerano il secondo come una versione allargata del primo e quindi lo percepiscono come più adatto a definire i tratti distintivi del nuovo ordine globale che verrà. In effetti la tendenza è questa, anche se non bisogna dimenticare che i due organismi riflettono storie diverse così come incarnano prospettive differenti: più politico il primo, più economico il secondo. Brevemente, mentre il G8 nacque nel 1975 come G5 (Italia, Canada e Russia si aggiunsero in seguito) su iniziativa del presidente francese Giscard D’Estaing che tenne il primo vertice a Rambouillet proprio per ravvivare il coordinamento fra le potenze di un Occidente che conosceva un progressivo scollamento sulle questioni strategiche, il primo G20 si tenne nel 1999 essenzialmente per favorire la concertazione delle decisioni sui temi economici da parte delle venti economie più importanti. È del tutto evidente come ci si trovi di fronte a due tipi di vertici differenti per finalità strategiche, perché mentre il primo è sostanzialmente concentrato nella ricerca di soluzioni politiche ai problemi in agenda, il secondo è esclusivamente dedicato all’economia, alle questioni monetarie ed alla macrofinanza. Mentre il G8 è riservato ai capi di Governo, al G20 partecipano i ministri economici ed i governatori delle banche centrali. Ma è altrettanto curioso notare che entrambi i summit sono modulati sulla stessa frequenza, sia dal punto di vista organizzativo, visto che sono molto flessibili, sia da quello della rapidità decisionale, posto che sono tutti e due sprovvisti di un segretariato permanente e di una propria struttura burocratica: questo li rende reattivi e li preserva da quell’eccesso di mediazione che giocoforza si riscontra invece nelle organizzazioni internazionali tradizionali come l’ONU o la stessa UE.
È comprensibile però che l’opinione pubblica resti in qualche misura disorientata di fronte a questi vertici che sembrano misurarsi su sfide molto simili, ma la politica estera è materia particolarmente complessa e si presta poco alle semplificazioni, anche di linguaggio, che ultimamente si sono affermate pure nel mondo della cultura. L’epoca che ci siamo lasciati alle spalle ha visto il tentativo egemonico dell’economia sulle altre funzioni sociali e questo ha prodotto una serie di messaggi rivolti all’opinione pubblica che ha cominciato a ragionare sempre più frequentemente in termini econometrici, anche su questioni che tradizionalmente hanno visto il primato di altre funzioni ed ora, proprio per dare risposte ad una crisi che da economica rischia di diventare sociale, la politica è chiamata a gran voce (paradossalmente anche dai potentati economici) a risolverla e superarla. È quindi un momento favorevole alla riaffermazione di questa dimensione nella sua funzione primaria di individuazione degli interessi principali delle proprie comunità di riferimento e starà ai leader di oggi misurarsi con questa doppia crisi, epocale e di sistema, per ridefinire una prospettiva che sia di sviluppo complessivo e non di sola crescita economica. Per questo ritengo che il ruolo del G8 sia ben lungi dall’essere esaurito, anche perché resta l’unico summit in cui il mondo occidentale riesce ad esprimere (pur se a volte con fatica) posizioni omogenee su temi di grande portata. Questa capacità poggia sulla condivisione di principi e valori, la democrazia in politica ed il libero mercato in economia (anche se proprio nell’applicazione di questi stessi valori la Russia è piuttosto deficitaria), che rendono possibile una visione del mondo simile, riducendo le conflittualità all’interno di quello stesso Occidente che si rende conto sempre più della necessità di larghe intese sui temi globali.
Proprio perché il mondo è ormai indirizzato verso il consolidamento di un ordine multipolare organizzato per aree regionali, è difficile immaginare che Stati fra loro disomogenei per storia, struttura sociale e sistemi di redistribuzione della ricchezza possano trovare stabili elementi in comune sulle grandi questioni politiche. Perciò il G20 (come quello che s’inaugura oggi a Londra), pur conservando la sua importante funzione di confronto e di indirizzo, resta confinato all’interno delle questioni puramente macroeconomiche. Mentre gli stati membri del G8 appartengono a quell’Occidente che, incluso il Giappone con la sua straordinaria doppia personalità di gigante asiatico che non rinuncia alla propria tradizione pur avendo abbracciato riti e dinamiche targate USA, bene o male hanno la stessa visione del futuro e perseguono interessi conciliabili, pur se declinati ovviamente secondo i tempi e le finalità dei singoli interessi nazionali degli Stati membri. Con tono provocatorio, alcuni sostengono che in fin dei conti sia sufficiente un’intesa a due, una sorta di G2 con USA e Cina solamente: ma se consideriamo che nemmeno all’apice della guerra fredda il mondo era diviso perfettamente a metà vista l’affermazione dei cosiddetti Paesi non allineati, ci rendiamo perfettamente conto di come, con il procedere innanzi della storia e con la complessità crescente dei nostri modelli sociali, il confronto divenga sempre più necessario ed allargato e debba quindi essere organizzato per aree di interesse omogeneo. Alla politica estera dei paesi occidentali quindi il G8, con la sua enorme potenzialità nell’esprimere grandi politiche di indirizzo, alle questioni dell’economia globale il G20, che racchiude una quota largamente maggioritaria della ricchezza mondiale prodotta, affinché contribuisca all’affermazione di quell’indispensabile processo di umanizzazione dell’economia, senza il quale le grandi sfide future dell’umanità sarebbero probabilmente perse in partenza."
fonte: corriere del ticino